Su ItaliaOggi un interessante approfondimento di Antonio Ranalli sulle novità, contenute nel Codice della Proprietà Intellettuale, entrate in vigore lo scorso 24 luglio.

Punto centrale è l’addio al «Professor’s Privilege » che prevedeva la titolarità dei diritti derivanti dalle invenzioni brevettabili in capo ai ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca.

Tra gli intervistati anche il nostro Francesco Santonastaso, il quale ricorda come «il diritto di brevettare le invenzioni realizzate dai dipendenti di Università ed enti pubblici di ricerca veniva attribuito ai dipendenti medesimi, anche quando l’attività inventiva rientrava nelle loro mansioni contrattuali, anziché all’ente di appartenenza, cui spettava solo una quota percentuale dei proventi di sfruttamento delle invenzioni. Questa norma, nel tempo, ha destato numerosi dubbi sotto il profilo dell’interpretazione e in punto di applicabilità, tanto da essere invocata da più fronti e con assiduità la possibilità di una riforma del relativo sistema, noto come «Professor’s Privilege », in favore di una titolarità istituzionale delle invenzioni in grado di adeguare il Paese al contesto internazionale e restituire alle Università proventi che avrebbero potuto finanziare le loro attività di ricerca. Proprio allo scopo di favorire i processi di trasferimento tecnologico dal mondo delle Università a quello delle imprese, la riforma ribalta l’approccio e stabilisce che i diritti nascenti dall’invenzione «istituzionale» (laddove i risultati inventivi delle ricerche c.d. libere restano di titolarità del ricercatore) spettino alla struttura di appartenenza dell’inventore, a meno che la stessa struttura non ne abbia interesse, facendo comunque salvo il diritto del ricercatore di essere riconosciuto autore».

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