Con una recentissima sentenza dell’11 gennaio 2024 (causa C-473/22, Mylan AB vs Gilead Sciences Finland Oy et al. – nel seguito, “sentenza Mylan) la Corte di Giustizia UE è tornata a pronunciarsi sul tema del risarcimento del danno conseguente alla revoca di una misura cautelare concessa a protezione di un diritto di proprietà intellettuale (nella fattispecie, un certificato complementare di protezione brevettuale), laddove venga successivamente accertata la nullità del diritto azionato in via cautelare.

La questione era già stata affrontata dalla CGUE nella nota sentenza Bayer Pharma (sentenza del 12 settembre 2019, causa C-688/17), in cui la Corte aveva chiarito la portata dell’art. 9, par. 7, della Direttiva Enforcement (direttiva 2004/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale), disposizione che testualmente prevede:

Qualora le misure provvisorie siano revocate o decadano in seguito ad un’azione o omissione dell’attore, o qualora successivamente si constati che non vi è stata violazione o minaccia di violazione di un diritto di proprietà intellettuale, l’autorità giudiziaria ha la facoltà di ordinare all’attore, su richiesta del convenuto, di corrispondere a quest’ultimo un adeguato risarcimento del danno eventualmente arrecato dalle misure in questione”.

Nella sentenza Bayer Pharma la Corte aveva concluso che la nozione di “adeguato risarcimento” di cui all’art. 9, par. 7, della Direttiva Enforcement, dovesse interpretarsi nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale che esclude il risarcimento del danno sofferto a causa di una misura cautelare successivamente rivelatasi infondata (a causa della sopravvenuta nullità del brevetto azionato in via d’urgenza) qualora il danneggiato abbia agito senza la normale prudenza al fine di evitare o ridurre il danno, purché tale normativa consenta al giudice di prendere debitamente in considerazione tutte le circostanze oggettive della causa, ivi compresa la condotta delle parti, al fine di verificare che l’attore non abbia utilizzato in modo abusivo le suddette misure.

Tali (condivisibili) conclusioni sono state – almeno parzialmente – rettificate dalla Corte nella sentenza Mylan dell’11 gennaio u.s., ancora ad oggetto l’interpretazione dell’art. 9, par. 7, della Direttiva Enforcement. Questi, in sintesi, i fatti all’origine del rinvio pregiudiziale: la Gilead Sciences (“Gilead”), multinazionale farmaceutica statunitense, otteneva dall’Ufficio brevetti finlandese un CPC per la protezione di un medicinale antiretrovirale indicato per il trattamento dell’HIV. Sulla base di tale certificato, Gilead chiedeva e otteneva un provvedimento di inibitoria cautelare nei confronti della concorrente Mylan AB (“Mylan”) accusata di aver immesso sul mercato un medicinale generico interferente con il CPC. A seguito dell’annullamento del CPC, la misura cautelare veniva revocata su istanza di Mylan, la quale agiva ai danni di Gilead per vedersi riconoscere il risarcimento del danno sofferto a causa dell’inibitoria ottenuta da quest’ultima sulla base di un CPC successivamente annullato. Il giudice finlandese investito della domanda risarcitoria rilevava quindi che la norma interna applicabile alla fattispecie – l’art. 11 del capo 7 del codice di procedura finlandese – prevede una responsabilità oggettiva del titolare del diritto IP azionato in via cautelare, qualora tale diritto venga successivamente annullato, e pertanto rimetteva alla CGUE la questione di compatibilità comunitaria di un regime di responsabilità senza colpa con l’art. 9, par. 7, della Direttiva Enforcement, letto alla luce della sentenza Bayer Pharma.

Disattendendo le conclusioni dell’avvocato generale – neppure menzionate nel testo della sentenza – la Corte ha rilevato come la formulazione molto ampia dell’art. 9, par. 7, della Direttiva Enforcement, che riprende la corrispondente disposizione dell’art. 50, par. 7, dell’Accordo TRIPs, sia sintomatica della volontà del legislatore comunitario, da un lato, di non armonizzare le norme relative al risarcimento al di là di quanto richiesto da tale accordo e, dall’altro, di lasciare agli Stati membri un margine di discrezionalità quanto all’attuazione concreta del regime di responsabilità dell’attore (punto 35).

Ad avviso della Corte, dunque, l’art. 9, paragrafo 7, della Direttiva Enforcement, letto alla luce dell’articolo 50, par. 7, dell’Accordo TRIPs, deve essere interpretato nel senso che esso prevede uno standard minimo per il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, lasciando nel contempo agli Stati membri un margine di discrezionalità che consenta loro di optare, eventualmente, per un regime di responsabilità oggettiva (punto 36).

Dopo aver escluso che tali conclusioni siano in contrasto con la sentenza Bayer Pharma, giacché in tale pronuncia la CGUE avrebbe unicamente inteso ricordare all’autorità giudiziaria che spetta ad essa valutare le circostanze della causa di cui è investita, ivi compresa la condotta delle parti, indipendentemente dal regime di responsabilità adottato (punto 40), la Corte ha quindi rilevato che un regime di responsabilità oggettiva come quello dedotto in lite, in cui l’importo del risarcimento può essere ridotto qualora il convenuto (attore nel giudizio risarcitorio) abbia esso stesso reso possibile il verificarsi del danno o non abbia adottato le misure ragionevoli per prevenire o limitare il danno e abbia così contribuito al suo verificarsi, è conforme alla Direttiva Enforcement in quanto:

  • proporzionato ed equo, giacché consente di adeguare l’importo del risarcimento alla condotta dell’autore della contraffazione e, in questo modo, di attenuare un eventuale effetto dissuasivo per il titolare del diritto IP (punto 46). In questa prospettiva, il fatto che il convenuto non debba dimostrare una colpa in cui sia incorso l’attore costituisce la contropartita del fatto che quest’ultimo ha potuto ottenere siffatte misure senza dover fornire la prova definitiva di una eventuale contraffazione;
  • non crea ostacoli al commercio legittimo, in quanto la successiva dichiarazione di nullità del titolo invocato in sede cautelare ha effetto retroattivo, sicché esso è considerato come mai esistito (punto 49);
  • non ha effetti dissuasivi per il titolare del diritto IP, in quanto per determinare l’ammontare del risarcimento il giudice può tener conto di tutte le circostanze del caso, ivi inclusa la condotta dell’asserito contraffattore, cosicché un simile regime di responsabilità non può mettere in discussione il carattere dissuasivo del sistema di misure cautelari apprestato dalla Direttiva Enforcement (punto 50).

Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha quindi concluso che:

L’articolo 9, paragrafo 7, della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che prevede un meccanismo di risarcimento del danno eventualmente arrecato da una misura provvisoria, ai sensi di tale disposizione, fondato su un regime di responsabilità oggettiva dell’attore che ha chiesto tali misure, nell’ambito del quale il giudice è autorizzato ad adeguare l’importo del risarcimento tenendo conto delle circostanze del caso di specie, ivi compresa l’eventuale partecipazione del convenuto alla realizzazione del danno”.

In realtà, non poche sono le perplessità che solleva la sentenza in commento, a partire dal principio per cui ciascuno Stato membro è libero di determinare il regime della responsabilità risarcitoria in argomento (punti 35 e 36). Tale principio appare decisamente in contrasto con l’obiettivo della Direttiva Enforcement di ravvicinare le legislazioni al fine di assicurare un livello elevato, equivalente ed omogeneo di protezione della proprietà intellettuale nel mercato interno (considerando 10) ed è suscettibile di incentivare pratiche di forum shopping, sospingendo i titolari di diritti IP verso ordinamenti che non prevedono un regime di responsabilità oggettiva.

Un sistema di responsabilità risarcitoria che prescinda dalla valutazione dell’elemento soggettivo del titolare del diritto IP successivamente annullato, contrasta altresì con il dato testuale della Direttiva Enforcement, che al considerando 22 rileva come la garanzia di un risarcimento tuteli il convenuto nell’azione di contraffazione in caso di domande infondate. Ed è chiaro che la fondatezza (o infondatezza) della domanda cautelare deve essere valutata con riferimento al momento in cui l’azione fu proposta, dunque prendendo in considerazione tutte le circostanze del caso che avrebbero dovuto indurre l’attore ad una maggiore cautela nel richiedere la misura provvisoria.

È questa, del resto, l’equilibrata posizione che la CGUE ha assunto nella sentenza Bayer Pharma, laddove ha dichiarato che spettava ai giudici nazionali valutare “se occorr[esse] condannare l’attore a corrispondere al convenuto un risarcimento” (punto 51), fermo restando che detto risarcimento poteva essere considerato “adeguato” solo se era giustificato alla luce delle circostanze specifiche della causa in esame. Così, il mero soddisfacimento delle condizioni previste all’art. 9, par. 7, della Direttiva Enforcement per tale risarcimento, vale a dire la revoca o la decadenza delle misure provvisorie in seguito ad un’azione o omissione dell’attore oppure la successiva constatazione che non vi è stata violazione o minaccia di violazione di un diritto IP, non implicava che i giudici nazionali fossero automaticamente e in ogni caso tenuti a condannare l’attore a risarcire il danno eventualmente subìto dal convenuto a causa di dette misure provvisorie (punti 51 e 52).

Anzi, con riferimento ad una successiva revoca delle misure cautelari, la sentenza Bayer Pharma è pervenuta a conclusioni incompatibili con un regime di responsabilità oggettiva, laddove ha constatato che, se è vero che detta circostanza costituiva una delle condizioni necessarie per accordare un risarcimento, essa non può, per contro, essere considerata di per sé un elemento di prova determinante dell’infondatezza delle misure provvisorie di cui trattasi. Ed ha aggiunto che un’interpretazione differente potrebbe avere l’effetto di dissuadere i titolari dal ricorrere alle misure cautelari previste dalla Direttiva Enforcement, in contrasto quindi con l’obiettivo di tale direttiva (punti 64 e 65).

Infine, un regime di responsabilità oggettiva è contrario al sistema risultante dall’Accordo TRIPs, il cui art. 50, par. 7, corrisponde all’art. 9, par. 7, della Direttiva Enforcement. La norma dell’Accordo TRIPs, tuttavia, va letta in combinato disposto con l’art. 48 del medesimo accordo (“Indennizzo del convenuto”) il cui par. 1 recita: “L’autorità giudiziaria ha la facoltà di ordinare ad una parte su richiesta della quale siano stati presi provvedimenti e che abbia fatto abuso dei procedimenti di tutela di accordare ad una parte cui sia stato erroneamente imposto un ordine o un divieto un adeguato risarcimento del danno subito a causa di tale abuso. L’autorità giudiziaria ha altresì la facoltà di ordinare all’attore di pagare al convenuto le spese, che possono comprendere anche un appropriato onorario per l’avvocato”.

L’art. 48, par. 1, dell’Accordo TRIPs, che vincola tutti gli Stati membri UE (considerando 4 della Direttiva Enforcement), appare quindi difficilmente compatibile con un regime di responsabilità oggettiva, come quello avallato dalla Corte nella sentenza Mylan.

Quanto al Tribunale Unificato dei Brevetti, una norma corrispondente all’art. 9, par. 7, della Direttiva Enforcement è contenuta nell’art. 60, par. 9, dell’Accordo istitutivo del TUB (la disposizione è richiamata dal successivo art. 62, par. 5, con riferimento alle misure cautelari) e negli articoli 213(2), 354(2) e 125 delle Rules of Procedure. Dal momento che il Tribunale Unificato è pienamente inserito nella cornice ordinamentale e giurisdizionale comunitaria, con annessa facoltà di proporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, e le sue decisioni devono conformarsi in primis al diritto dell’Unione (art. 24, par. 1, lett. a dell’Accordo istitutivo), è da ritenersi che le conclusioni della sentenza Mylan saranno in linea di principio applicabili anche ai giudizi risarcitori instaurati dinanzi al TUB.

Francesco Santonastaso

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