Gli ultimi mesi dell’anno appena trascorso hanno lasciato in dote una serie di interessanti pronunce sovranazionali (UPC, Corte di Giustizia UE) in materia brevettuale e di diritto d’autore, oltre alle prime bozze, redatte da esperti indipendenti, del Codice di buone pratiche previsto dall’art. 56 AI Act con riferimento ai modelli di AI per finalità generali ed ai modelli di AI per finalità generali con rischio sistemico.

Codice di buone pratiche AI Act

Iniziando dal Codice di buone pratiche, si tratta delle linee guida a cui, in assenza di una norma armonizzata, i fornitori di modelli di AI per finalità generali (General Purpose AI – “GPAI”) dovranno attenersi nei due anni che intercorrono tra l’entrata in vigore dei primi obblighi imposti dall’AI Act (agosto 2025) e l’adozione degli standard (agosto 2027). Il Codice, non diversamente dall’AI Pact (l’accordo volontario che le aziende possono sottoscrivere per adeguare i propri sistemi di AI) rappresenta uno strumento di soft law per consentire ai fornitori di GPAI di allinearsi alle disposizioni dell’AI Act, nonché come “prova di conformità” per dimostrare la compliance del modello in caso di contestazioni. La seconda bozza del Codice (in calce il testo del documento) è stata pubblicata lo scorso 19 dicembre e si prevede che la versione finale del documento sarà emanata entro il 2 maggio 2025.

Per quanto concerne in particolare la compliance agli obblighi previsti dall’art. 53(1)(c) AI Act in materia di diritto d’autore, il Codice prescrive una serie di misure e indicatori di prestazione (KPI – Key Performance Indicators) in grado di sostanziare il precetto normativo che impone ai fornitori di GPAI di attuare una policy volta al rispetto della normativa a protezione del diritto d’autore e, in particolare, ad individuare e rispettare una dichiarazione di opt-out espressa dal titolare dei diritti a norma dell’art. 4, par. 3, della direttiva UE 2019/790[1] (c.d. “direttiva Copyright” o  “direttiva CDSM”). La tabella che segue riassume il contenuto di queste misure e dei relativi KPI.

Riferimento AI ACTMisura prescritta dal CodiceKPI
Art. 53(1)(c)Redigere, aggiornare ed implementare una policy interna per la compliance con la normativa UE a protezione del diritto d’autore, applicabile a tutte le fasi del ciclo di vita del modello, inclusa la raccolta di dati per la creazione del data-set di addestramento, il training, la validazione e l’offerta sul mercato del modello1) Documentazione contenente la policy interna; 2) Documentazione attestante le variazioni ed implementazioni periodiche della policy interna; 3) Identificazione del personale responsabile per la verifica e l’implementazione della policy interna
Pubblicare ed aggiornare periodicamente una sintesi della policy interna, nei limiti consentiti dal rispetto dei segreti commerciali del fornitore1) Sintesi della policy interna pubblicata sul sito web del fornitore del modello
Adoperare ogni ragionevole sforzo per verificare la conformità al diritto d’autore di data set di terze parti, e all’uopo: condurre un’adeguata due diligence preventiva all’acquisizione di data set di terze parti;richiedere ed ottenere garanzie adeguate e credibili che il data set sia stato creato nel rispetto della normativa a protezione del diritto d’autore;con riferimento a data set pubblicamente accessibili, impiegare misure ragionevoli e proporzionate volte a verificare, sulla base della descrizione del data set e di un’analisi a campione dei dati, se il data set sia stato creato nel rispetto della normativa a protezione del diritto d’autore. Non è tuttavia richiesta una verifica di ciascun elemento contenuto nel data set.1) Documentazione attestante le garanzie rilasciate dal fornitore del data set (in caso di data set non pubblicamente accessibili) 2) Documentazione attestante le verifiche svolte dal fornitore del modello onde accertarsi della conformità al diritto d’autore del data set pubblicamente accessibile
Impiegare misure ragionevoli e proporzionate per assicurarsi che le attività di text and data mining riguardino opere protette dal diritto d’autore a cui il fornitore ha legittimo accesso1) Documentazione attestante le misure impiegate dal fornitore per assicurarsi di aver legittimo accesso alle opere protette dal diritto d’autore
Impiegare misure ragionevoli e proporzionate per escludere dall’attività di crawling per l’addestramento del modello, i siti web già noti per ospitare contenuti in violazione del diritto d’autore (c.d. siti pirata)1) Lista di siti web esclusi dall’attività di crawling
Adottare come misura minima web crawler capaci di riconoscere dichiarazioni di opt-out espresse tramite Robot exclusion protocol (robots.txt)1) Lista dei web crawler e delle relative funzioni
Impiegare i massimi sforzi, in proporzione alle dimensioni e capacità del fornitore, per identificare una dichiarazione di opt-out espressa dal titolare dei diritti mediante strumenti diversi dal Robot exclusion protocol1) Lista delle altre misure tecniche messe in campo dal fornitore per identificare una dichiarazione di opt-out
Pubblicare l’elenco delle misure tecniche impiegate dal fornitore per riconoscere e conformarsi ad una dichiarazione di opt-out, inclusa l’identificazione dei web crawler e della loro conformità al Robot exclusion protocol; Adottare misure ragionevolmente idonee a consentire ai titolari di diritti di verificare la correttezza di tale informativa1) Lista delle misure pubblicata sul sito web del fornitore del modello
Con riferimento ai grandi modelli di AI generativi, che consentono una generazione flessibile di contenuti, ad esempio sotto forma di testo, audio, immagini o video, adottare i massimi sforzi per evitare rischi di overfitting del modello, onde mitigare il rischio di generare output che costituiscano violazione delle opere autorali utilizzate in sede di addestramento1) Documentazione attestante le misure adottate dal fornitore del modello per evitare rischi di overfitting
Vietare contrattualmente ai fornitori di sistemi AI in cui il modello è integrato, di utilizzare il modello per generare output in violazione del diritto d’autore1) Policy di utilizzo del modello, termini e condizioni ovvero altri documenti contrattuali che vietano l’uso del modello con finalità elusive del diritto d’autore
Designare un punto di contatto per le interlocuzioni con i titolari dei diritti    1) Designazione del punto di contatto e pubblicazione di informazioni adeguate e facilmente accessibili su di esso; 2) Indicazione della procedura interna implementata per gestire i reclami dei titolari dei diritti, inclusa la pubblicazione sul sito del fornitore della possibilità di inoltrare i reclami attraverso il medesimo sito web

Sony/Datel: i confini della riproduzione del software di un videogioco

Passando alle più rilevanti decisioni in materia di diritto d’autore di fine 2024, degna di nota è certamente la sentenza del 17 ottobre 2024 (causa C-159/23) nel caso Datel[2], con cui la Corte di Giustizia UE ha chiarito la portata dei diritti esclusivi sul software conferiti dalla direttiva sui programmi per elaboratore (direttiva 91/250, sostituita dalla direttiva 2009/24 entrata in vigore il 25 maggio 2009). Al centro della vertenza la nota consolle per videogiochi Sony “PlayStationPortable” (“PSP”) ed un software integrativo distribuito dallo sviluppatore indipendente Datel, in grado di modificare il funzionamento di un videogioco per PSP senza tuttavia alterare né riprodurre il codice sorgente o il codice oggetto del software del videogioco. Più in particolare, il software della Datel viene installato dall’utilizzatore sulla PSP ed eseguito contemporaneamente al software del videogioco: esso non modifica né riproduce il codice oggetto né il codice sorgente, né tantomeno la struttura interna e l’organizzazione del software Sony utilizzato sulla consolle PSP, ma si limita a modificare il contenuto delle variabili temporaneamente inserite dai videogiochi Sony nella memoria RAM della consolle PSP, che sono utilizzate durante l’esecuzione del videogioco, cosicché quest’ultimo viene eseguito sulla base di tali variabili dal contenuto modificato.

La Corte ha ribadito i principi fondamentali che informano la tutela di diritto d’autore del software, e così ha ricordato che la protezione garantita dalla direttiva sui programmi per elaboratore è limitata alla creazione intellettuale che si riflette nel testo del codice sorgente e del codice oggetto e, quindi, all’espressione letterale del programma in tali codici, con esclusione delle sue funzionalità, dell’interfaccia utente grafica, del linguaggio di programmazione e del formato di file di dati utilizzati nell’ambito del medesimo programma. Ha quindi rilevato, con riferimento al caso di specie, che il contenuto delle variabili inserite dai videogiochi Sony nella memoria RAM della consolle PSP, costituisce un elemento del software del videogioco che non attiene alla “forma di espressione” del software stesso e, come tale, non è protetto ai sensi della direttiva nella misura in cui non consente la riproduzione o la realizzazione del programma in una fase successiva.

Reciprocità sostanziale e tutela armonizzata: il caso Vitra/Kwantum e l’appello degli Stati membri alla Commissione UE

Sempre in tema di diritto d’autore merita di essere menzionata la sentenza CGUE del 24 ottobre 2024 nel caso Kwantum (causa C-227/23)[3], relativa all’applicazione del criterio di reciprocità sostanziale alle opere di design originarie di paesi terzi. Oggetto del contendere una sedia di design concepita da una coppia di autori statunitensi e commercializzata in Europa dalla società di diritto svizzero Vitra, i cui diritti d’autore si assumono violati per effetto della produzione e commercializzazione nei Paesi Bassi e in Belgio di analogo prodotto da parte della società Kwantum. La vertenza ripropone la questione – già affrontata dalla CGUE nella sentenza RAAP dell’8 settembre 2020 (causa C-265/19) – delle possibili interferenze tra il criterio di reciprocità sostanziale previsto dalla Convenzione di Berna e la tutela armonizzata comunque garantita alle opere suscettibili di protezione autorale all’interno dell’Unione, a prescindere dal paese d’origine dell’opera o dalla cittadinanza dell’autore.

La Corte ha chiarito che anche le opere originarie di paesi terzi ovvero concepite da autori che siano cittadini di paesi terzi devono beneficiare all’interno dell’Unione dei diritti esclusivi di riproduzione e comunicazione garantiti dalla direttiva Infosoc[4], dal momento che l’ambito di applicazione di detta direttiva è definito non in base al criterio del paese d’origine dell’opera o della cittadinanza del suo autore, bensì con riferimento al mercato interno, onde è sufficiente che la creazione di cui si domanda tutela possa qualificarsi come <<opera>>  ai sensi della direttiva, ossia secondo i criteri ricordati dalla CGUE da ultimo nelle note sentenze Cofemel e Brompton.Di conseguenza, gli Stati membri non possono applicare alle opere originarie di paesi terzi o il cui autore sia un cittadino di un paese terzo, il criterio di reciprocità sostanziale previsto dalla Convenzione di Berna, giacché tale approccio sarebbe non solo contrario alle disposizioni della direttiva Infosoc, ma rimetterebbe anche in discussione l’obiettivo di tale direttiva, che consiste nell’armonizzazione del diritto d’autore nel mercato interno. Inoltre, l’applicazione del criterio di reciprocità ai diritti di cui trattasi si risolverebbe in una limitazione dei diritti esclusivi riconosciuti agli autori non prevista dalla direttiva Infosoc, come tale illegittima poiché non contemplata dalla legislazione dell’Unione.

Come detto, a tali conclusioni la Corte era già pervenuta con la sentenza RAAP[5], in cui si discuteva del diritto degli artisti interpreti o esecutori non cittadini né residenti in uno Stato membro dello Spazio Economico Europeo, ovvero le cui interpretazioni o esecuzioni fossero state registrate al di fuori del SEE, di percepire il compenso per la comunicazione al pubblico del fonogramma previsto dall’art. 8, par. 2, della direttiva 2006/115. In tale occasione, i giudici dell’Unione hanno escluso che gli Stati membri possano limitarsi a riconoscere il diritto a compenso ai soli AIE che siano cittadini, residenti o domiciliati all’interno del SEE ovvero il cui contributo al fonogramma sia stato realizzato nel SEE, trattandosi di una limitazione che può essere introdotta solo dal legislatore dell’Unione.

È interessante rilevare come proprio le due sentenze Kwantum e RAAP siano state recentemente portate all’attenzione della Commissione UE in una breve lettera del 13 dicembre scorso (in calce il testo del documento) sottoscritta congiuntamente da 6 Stati membri: i firmatari dell’appello hanno posto l’accento sugli effetti distorsivi che le due sentenze rischiano di produrre sul regime di libera circolazione dei servizi e sull’attrattività del mercato dell’Unione, sollecitando la Commissione ad emanare con urgenza una proposta legislativa concernente regole e confini dell’applicazione internazionale della disciplina armonizzata in materia di diritti d’autore e connessi.

UPC e licenze FRAND

Sul versante del diritto dei brevetti, va segnalata la prima decisione con cui il Tribunale Unificato dei Brevetti si è ritenuto competente a decidere in merito ad una questione di natura “concorrenziale”, segnatamente sulle violazioni del diritto antitrust eccepite dal convenuto in una causa per contraffazione di un brevetto essenziale (c.d. SEP – Standard Essential Patents), ossia un brevetto che copre una tecnologia adottata come standard dall’industria e della quale, pertanto, deve essere consentito a tutti i potenziali interessati di farne liberamente uso nei prodotti di loro fabbricazione mediante licenze rilasciate a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie (licenze c.d. FRAND – Fair, Reasonable and not Discriminatory). In realtà, malgrado alcune voci di segno contrario, che l’UPC potesse conoscere anche delle eccezioni basate sul diritto antitrust utilizzabili in funzione di reazione ad una domanda di contraffazione, non è mai stato seriamente in discussione. Infatti, è lo stesso Regolamento istitutivo della tutela brevettuale unitaria (Reg. UE 1257/2012) a precisare all’art. 15 che non può essere pregiudicato il diritto della concorrenza e delle norme relative alla concorrenza sleale; e l’Accordo istitutivo del TUB – tra l’altro – prevede espressamente (art. 42) che le procedure vengano impiegate in maniera non distorsiva della concorrenza. Inoltre, tra le materia di competenza esclusiva del TUB rientrano espressamente (art. 32, par. 1, lett. a) le domande riconvenzionali relative a licenze, incluse evidentemente – come nel caso all’attenzione dell’UPC – le domande volte al riconoscimento del diritto del presunto contraffattore di ottenere una licenza sul brevetto azionato a condizioni FRAND.

Nel caso specifico, con sentenza del 22 novembre 2024 (in calce la traduzione in inglese della sentenza dall’originale tedesco), la Divisione Locale di Mannheim si è pronunciata sull’azione di contraffazione proposta dalla nota multinazionale Panasonic nei confronti di Oppo, azienda cinese di elettronica nota per i suoi innovativi smartphone, avente ad oggetto la contraffazione di un brevetto Panasonic essenziale per implementare lo standard 4-G all’interno di smartphone e smartwatches. Le eccezioni difensive di Oppo si basavano, tra l’altro, sull’abuso dei diritti di brevetto e della posizione dominante imputati a Panasonic, accusata di aver irragionevolmente negato la concessione di una licenza FRAND sul brevetto controverso prima di avviare l’azione giudiziale.

Riconosciuta la propria competenza, l’UPC ha fatto, quindi, per la prima volta applicazione dello schema negoziale tipizzato dalla CGUE nel noto caso Huawei[6], il cui rispetto da parte del titolare del brevetto essenziale è di regola necessario per assicurare la conformità agli obblighi FRAND gravanti su di esso e il cui rispetto da parte del preteso contraffattore è necessario perché quest’ultimo possa evitare l’accoglimento di altrimenti legittime domande di inibitoria formulate dal titolare del brevetto essenziale.

Pur discostandosi parzialmente dall’approccio – ritenuto eccessivamente formalistico – testualmente indicato dalla CGUE (con riferimento, in particolare, al grado di dettaglio che deve avere la prima comunicazione del titolare del brevetto per essere FRAND), l’UPC ha rilevato come nel caso specifico, la dialettica negoziale tipica fosse stata disattesa da Oppo, ponendo in essere atteggiamenti ostruzionistici e dilatori e rifiutandosi di condividere con Panasonic le informazioni necessarie e sufficienti ad individuare una congrua royalty per la concessione in licenza del brevetto. Donde l’accoglimento della domanda inibitoria e delle altre misure invocate da Panasonic. Risulta peraltro che la vertenza sia stata transatta dalle parti prima della pronuncia della decisione qui commentata, che pertanto è destinata ad avere un impatto relativamente modesto nei rapporti commerciali tra le due imprese. Si tratta in ogni caso di un nuovo fondamentale “tassello” nello sviluppo della giurisprudenza dell’UPC.

Combinazione di principi attivi e SPC: il caso Teva/Merck

Di certificati protettivi complementari (SPC) per prodotti farmaceutici si è occupata la Corte di Giustizia con la sentenza Merck del 19 dicembre 2024 (cause riunite C-119/22 e C-149/22)[7], che ha fornito taluni chiarimenti in ordine alle condizioni di rilascio di un SPC e, in particolare, sulla corretta interpretazione dei requisiti di cui all’art. 3, lett. a) e c), del Regolamento UE 469/2009.

In merito al requisito di cui alla lettera c) dell’art. 3 del regolamento (a mente del quale l’SPC non può essere rilasciato se il prodotto, ossia il principio attivo o la composizione attiva di un medicinale, sia già oggetto di precedente certificato), la Corte ha chiarito che un SPC già concesso per un principio attivo A, non preclude il rilascio di un secondo SPC per la combinazione di principi attivi A+B, anche qualora il brevetto di base copra il solo principio attivo A mentre il principio attivo B era già noto alla data di deposito o di priorità di tale brevetto.

Per quanto concerne, invece, il requisito di cui alla lettera a) dell’art. 3 del regolamento (il principio attivo o la combinazione di principi attivi deve essere protetto da un brevetto di base in vigore), la Corte ha rilevato che non è sufficiente che il principio attivo o la combinazione di principi attivi siano espressamente menzionati nelle rivendicazioni del brevetto di base, ma è altresì necessario che, alla luce della descrizione e dei disegni, risulti chiaro all’esperto del ramo che il prodotto è ricompreso nell’ambito di protezione del brevetto di base. Questa conclusione è in realtà discutibile, giacché a norma dell’art. 69 della Convenzione sul Brevetto Europeo (CBE) l’ambito di protezione del brevetto è determinato dalle rivendicazioni, mentre descrizione e disegni vanno utilizzati per interpretare le rivendicazioni, cosicché se il prodotto è espressamente rivendicato, esso non può che ritenersi di per sé protetto dal brevetto di base a norma dell’art. 3(a) del regolamento SPC. In effetti, qui la Corte è sembrata più che altro preoccupata di dare continuità ad un indirizzo già espresso nella sentenza Teva del 25 luglio 2018 (causa C-121/17)[8], relativa però ad una fattispecie in cui una combinazione di principi attivi, pur non essendo espressamente rivendicata, era stata ritenuta ricompresa nell’ambito di protezione del brevetto di base alla luce della descrizione e dei disegni. E sempre in continuità con la sentenza Teva, la Corte ha ulteriormente chiarito che, affinché una combinazione di principi attivi possa considerarsi protetta da un brevetto di base, è necessario altresì che dal brevetto risulti che la combinazione dei due principi attivi ha un effetto combinato che va al di là della mera sommatoria degli effetti di questi due principi attivi e che contribuisce alla soluzione del problema tecnico.


[1] Direttiva (UE) 2019/790 del 17 aprile 2019 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE

[2] Disponibile all’indirizzo: https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=291248&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=21915510

[3] Disponibile all’indirizzo: https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=291566&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=21916125

[4] Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione

[5] Disponibile all’indirizzo: https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=230741&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=21916695

[6] CGUE, 16 luglio 2015, causa C-170/13, Huawei Technologies Co. Ltd c. ZTE Corp. e ZTE Deutschland GmbH

[7] Disponibile all’indirizzo: https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=293832&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=21917972

[8] Disponibile all’indirizzo: https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=204388&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=21918533

Seconda bozza Codice di Buone Pratiche
Commissione UE, Lettera 13 dicembre 2024
Sentenza del 22 novembre 2024_eng

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